Paradiso Vallee: ristorazione, storia e Maison (Anselmet!)

Avete presente quei luoghi che se non vivi non “vedi”? È come un dibattito, tutto mentale, tra cervello ed occhio.
Ci si imbatte in un nuovo alfabeto che tocca imparare al primo sguardo se si vuole comprenderlo senza contaminazioni. Cogne, la capitale del Parco Nazionale del Gran Paradiso, è un paradiso. Un paradiso per davvero! E per raggiungerlo, un sentiero “infinito”, leggermente tortuoso, ti accompagna fino alla sua immensa vallata, un cucchiaio verde circondato dalle alpi, dai ruscelli, dai cristalli di neve (in inverno), dalla rugiada e da una brezza calda ed accogliente, in estate. E a percorrere le curve persino l’asfalto sembra morbido, un tappeto magico che non finisce mai. Ed ad un tratto, le montagne “si aprono” per svelare un borgo da fiaba, silenziosamente assordante, in cui rifugiarsi per sentire tutti i suoni della natura e rimanere come in acquario vivente, incantati. Un’immagine naturalmente surrealistica, una suggestione che può far tombe en amour anche gli intolleranti ed allergici alle montagne. Camminare nel prato di Sant’Orso (una delle “Meraviglie d’Italia”) è come andare nel giardino di Monet a Giverny, e scoprire il “segreto” custodito dagli abitanti di Cogne (1400) da 92 anni, l’Hotel Bellevue: un maestro dell’ospitalità. Fondato prontamente nel 1925, a soli tre anni dall’istituzione del Parco Nazionale del Gran Paradiso, da antica riserva di caccia della famiglia reale si è trasformata nell’unica location affacciata ai ghiacciai, fedele alle tradizioni ed al progetto originario, nonostante le molteplici ristrutturazioni avvenute nel tempo. 



Un gioiello che racconta della “Signora” del Bellevue: Maria Romilda Albert. A questa figura dal fascino e carisma maestosi, si deve la presenza di questo tempio della montagna. Ancora oggi tutto è gestito a livello familiare con incursioni innovative e di design ben integrati nel calore del legno e della pietra. Laura e Mimmo offrono un’ospitalità sensoriale per viaggiatori gourmet supportati da una settantina di collaboratori: l’ingrediente umano che conferma i prestigiosi riconoscimenti ottenuti nel tempo: l’inserimento tra i Locali Storici d’Italia e i Relais & Châteaux, la stella Michelin (nel 2003), lo SPA Trofy (migliore SPA dei Relais & Châteaux nel 2006) seguiti nel 2013 dal prestigioso Prix Villégiature Awards di Parigi come migliore SPA d’albergo d’Europa. E a queste esperienze di relax si aggiungono fenomenali carte dei formaggi e dei vini curate rispettivamente dal talentuoso Maître Fromager Roberto e dall’enciclopedico Sommelier Rino Billa. L’ultimo tocco che rende tutto ancora più strabiliante è la suite “Il nido degli angeli”: un cubo di vetro che diventa una lente a 180° affacciata al Gran Paradiso con arredi romantici (letto a baldacchino) e moderni (caminetto ad acqua e una vasca da bagno con uscita a sbalzo). 


Da qui si comprende la scelta del “set Bellevue” per girare il Gourmet Festival Relais&Châteaux 2017 con due grandi Chef in scena: Fabio Iacovone (di casa Bellevue) e Giampiero Vento del Truffle Bistrot (Relais San Maurizio di Santo Stefano Belbo) accompagnati da altri due grandi attori del settore vitivinicolo: Maison Anselmet e Travaglini. La trama è la fusion tra Vallée e Piemonte in un menu a quattro mani studiato ed integrato per stupire con certezze territoriali e slanci estetici. Si inizia con un gambero mazarese fois gras, ristretto di marsala e nocciole abbinato al Valle d’Aosta Petite Arvine 2014 (Maison Anselmet) per proseguire con un tortello di scorfano in salsa carrettiera e un lombetto d’agnello con castagno e cavolo rosso abbinato ai Gattinara Tre Vigne e Riserva 2011, rispettivamente. E nel gran finale ci si tuffa in un’acqua di pomodoro, sorbetto alla mandorla pizzetta e terra di cioccolato salato e in una mela valdostana presentati con una versione di Valle d’Aosta da uve stramature (assemblaggio: 50% Pinot Gris, 30% Chambave Muscat, 20% Gewurztraminer) chiamato Arline. E quest’ultima crema dolce di Anselmet è solo una delle numerose etichette in commercio. Le prime tracce di questa famiglia risalgono al 1585, l’anno in cui si registra, in un primo atto notarile, l’acquisto di un terreno coltivato a vite. 1978 dopo la prima fortunata e vincente produzione di settanta bottiglie presentate alla Festa dell’Uva di Aosta.


La lunga esperienza come direttore del personale ed il suo carattere caldo ed accomodante, sono le caratteristiche che lo trasformano come in una “follia divertente” in una sorta di faro, un perno per i produttori della zona: da neo produttore a Presidente dell’Associazione dei Vigneron. La sua geniale classis impone l’appartenenza ad unico progetto, un coinvolgimento. E allora Renato costituisce una commissione di degustazione e di controllo composta da palati francesi e svizzeri, per cogliere ogni sfaccettatura sull’andamento delle annate e sulla scelta dei trattamenti per definire una strategia intelligente e comune. Ed è durante questo cammino e con i primi guadagni, che la sua voglia di immergersi in toto nell’agricoltura aumenta. E da qui, gli investimenti in terreni, attrezzature ed ammodernamento della relativa cantina sono stati naturalmente consequenziali. Ma mancava ancora qualcosa: una sfida! Nel 2010 Renato acquista in una collina particolare un appezzamento “provato” da un’alluvione e dal collasso del 50% degli essenziali muretti in pietra (approvati peraltro nell’ultimo PSR 2017). Lo stop arriva al momento della richiesta della DOC perché non si copre il 70% di superficie con il Petit Rouge. Ma la delusione di dover rinunciare alla denominazione è presto confortata dal ritrovamento in un antico documento del 1935 in cui si cita Saint-Pierre come zona tra le più vocate per la produzione del vino. Oggi l’IGT che nasce in questo tassello è l’etichetta più prestigiosa del “Puzzle Anselmet". Il Prisonnier viene venduto in tutto il mondo e nasce seguendo un metodo tradizionale: pressatura “per mano” dei piedi seguita da una macerazione pre fermentativa a freddo e due anni di barrique. E a fare una rapida analisi SWOT l’intuizione di credere in questa vigna e mantenerla al naturale fanno di Renato un precursore della sinergia tra agricoltura ed economia del settore dell’eno-turismo alimentata dall’entusiasmo del figlio Giorgio, arrivato nel 2001.





Inizia ad operare attivamente dopo un bel banco di prova alla Cave des Onze Communes ed un lungo e profondo percorso di studi presso il prestigioso Institut Agricole, seguito da uno stage di perfezionamento in Borgogna, per sfogare tutta la sua creatività e sensibilità avendo a disposizione ben 64 appezzamenti di dimensioni variabili per trasformarli in 100.000 bottiglie circa annue. I suoi desideri sono piccole grandi rivoluzioni che influenzano tutta l’azienda e la famiglia. Le idee sono un’avanguardia intuitiva fatta di sogni che possono apparire, ad un occhio distratto, non reali e senza direzione ma in realtà, di più immediata concretezza ed attuabilità di quel che sembra…Giorgio decide di aumentare le superfici vitate per impiantare nuove cultivar per creare un’alternativa con una funzione radicata ai propri gusti ed alle tradizioni della regione. E il tutto è propositivo per una manifesto nuovo per l’intera Valle d’Aosta. Dal Petite Arvine, alla Syrah, al Riesling allo Chardonnay e ancora il Fumin, il Petit Rouge, il Merlot ed il Pinot Noir. Evviva il rovere ed il mito della Borgogna, per Giorgio…due evasioni curiose che lo aiutano a rifinire il suo stile: creativo e metodico. Per quasi tutte le referenze le uve, una volta arrivate in cantina dopo le fermentazioni a temperature perfettamente controllate, in vasche acciaio, passano in barrique. E queste, si ammirano dalla vetrata dell’ufficio (sul soppalco!) collegato alle stanze di affinamento e di degustazione (al piano terra) dove si ultima la visita e si passa all’assaggio del lavoro di Giorgio&Co.


Chardonnay 2016: sentori di polvere di finocchio ed erba tagliata si uniscono ad un succo denso di albicocca. Si concentrano, per formare un volume ampio e di gradevole acidità a ricordare piacevoli fiori di camomilla nel fin di bocca.

Petite Arvine 2016: grano, cereali e acacia son fusi in una cialda di Cedro dell’Atlante. Cremoso, quasi burroso si spalma con freschezza e dinamismo. Chiude armonico e in grande equilibrio.
Syrah 2015: il naso schietto di rosa canina e mirtillo nero enfatizza elegantemente le note dolci di vaniglia e cenere. Il sorso ampissimo e polposo si allunga con freschezza e spargere coriandoli di spezie. 


Prisonnier 2015: prodotto con un massimo di due grappoli per pianta i profumi richiamano la radice di liquirizia, il lampone ed il muschio di montagna. Soffice ed armonico il palato è prima colpito poi avvolto da punte vegetali e succose. La tessitura ricorda una maglia di cachemire di materia delicata e sottile che chiude con un aroma di sambuco e lichene.

*In Italia i vini sono distribuiti da Sagna S.p.A














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