Il "tempo" del Timorasso
Parliamo del tempo? Dopo aver letto l’ultimo scritto di Carlo Rovelli affrontare questo tema non mi pare certo un passatempo da poco al contrario è tra i più complicati perché è la firma della nostra memoria. E con il suo scorrere, a tratti gli eventi appaiono sfuocati e quel tocco di unicità -di un momento o di un giro fantastico del pensiero intorno alla Terra- quello, si, è perso se non lo si coglie. Sappiamo che scorre più veloce in montagna che in pianura, i ritmi sono diversi cosi come la loro contestualizzazione in ogni luogo.
Ed esiste anche una direzione, del tempo, dal passato al futuro perché ora, adesso, mentre si scrive e legge il tempo è passato. E se i principi di termodinamica sono distanti da noi e facciamo finta di non capirli non possiamo esimerci dall’eternalismo dell’attitudine dell’uomo ad ambientarsi alla “variabile natura”: il mutamento del tempo (il meteo) e le decisioni di coltivare l’uva e, con lei, tutte le colture. Il filosofo greco Anassimandro diceva che “le cose si trasformano l’una nell’altra secondo necessità e si rendono giustizia secondo l’ordine del tempo”.
E questo tempo e il suo “ordine” nella zona del tortonese lo ripercorriamo con i lineamenti climatici che spaziano, da un periodo arido e caldo (200-400 d.C) a uno fresco e umido tale da definirlo una piccola età glaciale altomedioevale, in scena dal 500 al 750 d.C. In questi intervalli l’abbassamento della temperatura e la siccità sono alcune delle cause delle crisi agrarie. E nonostante le invasioni barbariche e delle cavallette, seguite da una seconda fase calda (750-1300 d.C) con pozzi secchi e la comparsa della vite persino in Inghilterra, gli insediamenti umani e l’agevolazione del commercio non si sono mai arrestati.
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