Live Wine - Man Alive

Palazzo del Ghiaccio - Milano
Nel weekend più nevoso dell’inverno 2016 al confine con la primavera, nella capitale della moda e della tecnologia è andato in scena Live Wine, il Salone Internazionale del Vino Artigianale. Al Palazzo del Ghiaccio location scelta per definire forse, già dal nome, la purezza dei prodotti, sono arrivate da tutta Italia e Francia oltre 100 aziende vitivinicole di piccole e medie dimensioni che con le loro produzioni biologiche, biodinamiche o naturali si sono presentate e confrontate con il numerosissimo pubblico presente.
Oltre ai banchi di assaggio a rendere ancora più naturale la manifestazione ci hanno pensato le degustazioni guidate del giornalista ed editore, Samuel Cogliati, un grande esperto di vini Francesi che collabora da anni con la più autorevole rivista di vino dei cugini francesi, LeRouge&leBlanc, nonche al timone della sua Possibilia Editore.
Oltre ad essere autore di numerosi testi sulla Champagne e sui vini naturali, Samuel vanta collaborazioni prestigiose come quella con Francois Morel.
Da anni seguo e leggo i testi dell’appassionato scrittore è ed per me un quasi un obbligo partecipare alla degustazione alla cieca, “Champagne - Blanc de...quoi?” organizzata in occasione di Live Wine.
Concordo quando Samuel dice che le degustazioni alla cieca sono quelle che “ti impongono a fare uno sforzo, ti mettono in discussione e portano a dover ricalibrare il proprio giudizio” cosi come quando dice che lo “Champagne è il vino più rappresentativo del territorio”.
Prima degli assaggi sono necessarie alcune premesse. Aiutati da un brillante e conciso schema ci si domanda: “Che cosa cerchiamo in uno Champagne? Qual è la sua identità? Che cosa intendiamo per riconoscibilità?” Gli elementi esposti riportano alle variabili della vendemmia, del suolo, del clima, della fermentazione, del dosaggio, della scelta dei lieviti impiegati, dell’affinamento e cosi via…
Ma a monte di tutto ciò non v’è sempre e comunque solo l’uomo? Non è lui che in ogni annata scruta il comportamento e le reazioni delle piante, governa le uve e decide quali caratteristiche esaltare? I colori, i profumi e,  se necessario, i difetti da nascondere, durante l’elaborazione del vino? In pochi sorsi  è la componente umana, la ragione, il buon senso, che definiscono “lo stile” concetto a volte impropriamente usato se analizziamo poi le domande di mercato e la squisita creazione di prodotti creati per soddisfare tali richieste…
Esauriti i trattati è tempo di assaggiare e cercare di riconoscere il territorio della Champagne che prima di essere vino è mito, regione, uno status symbol.

Vini in degustazione:
1° campione. Il perlage mi stupisce, finissimo e moderatamente veloce. Il naso è pulito, elegante e fine con note di pera e di albicocca secca. In bocca l’acidità è ben presente e il gusto è pertinente  al naso. Un capotto lungo, semplice, che avvolge quanto basta per definirsi montgomery.
2° campione. Profumi caldi, burrosi con note di arancia rossa. In bocca si percepisce l’invadenza e una prepotenza date da una presa ruvida e leggermente salina. L’astringenza, a tratti  fastidiosa, delinea un profilo irrisolto, una sorta di rabbia interiore, “forse per il troppo tempo passato chiuso in una botte di legno?” La parola fine è siglata da scorze di limone verde.
3° campione. Questo vino rispecchia la terra di origine grazie alle note selvatiche, terrose e balsamiche. Si scorgono inoltre punte di pera, di mandorla e di cera. La sensazione di spessore tattile è collegata ai granelli salini percepiti nel fin di bocca.

4° campione. Il naso richiama sensazioni di prugna secca, pasta sfoglia, agrumi ed anice. La bocca è carnosa e con graffi dolci. L’acidità e la persistenza sono in buon equilibrio.
5° campione. Il naso spicca per le note eleganti di pompelmo e di erba tagliata. La bocca è rettilinea e il gusto viaggia ad una velocità controllata che lascia il tempo al palato di apprezzare l’astringenza, le vibrazioni citrine, leggermente ferrose. 

Ho segnato i nomi dei piccoli produttori che abbiamo scoperto ma volutamente non li menzionerò perché credo sia una forma di rispetto per il lavoro di ricerca svolto da chi mi ha guidato in questa occasione.
Condivido con chi mi legge e che si sforza di guardare il retro etichetta, il fatto che le cuvée erano poco o del tutto non dosate: brut nature, pas dose o come le si voglia chiamare, si tratta di champagne che per natura sono una reinterpretazione del concetto di terroir:  suolo, condizioni climatiche e il savoir faire dell’uomo. In questi champagne l’intuito e l’esperienza umana esaltano chi più chi meno, la freschezza, l’equilibrio, la struttura, la pertinenza gusto-olfattiva, la continuità, uno stile economico imposto…



Prima e dopo questa esperienza alive in Champagne una storia  che merita di esser condivisa è quella del Clos Cristal in cui si produce il vino Le Murs, Cabernet Franc 100%, prodotto a partire da agricoltura biodinamica dal 2001. Ci troviamo a Champigny in un villaggio della Loira in cui la parcella di solo 8 ettari esposta a sud su suolo calcareo e sabbioso, si presenta dal 1900 con 3 km di muro voluti da Antoine Cristal diventato proprietario dello Château Parnay all’età di 50 anni. Dopo aver compreso che la coltura della vite era la sua ragione di vita si dedicò totalmente alle sue terre impiantando cepages rossi in una regione vocata per la produzione di vini bianchi. In questa porzione di Loira fece costruire dei muri paralleli in cui far vivere le piante. Questa privilegiata ed atipica esposizione consente di aumentare la velocita di maturazione delle uve da 3 a 4 settimane.

Dal 22 marzo del 2011 il Clos Cristal è riconosciuto come un monumento storico ed è gestito oggi da una Associazione, da alcuni dipendenti dell’ Hospices de Saumur e da Alexe Du Bois e il marito (enologo).
Il Clos Cristal Le Murs 2014, 100% Cabernet Franc in purezza è come  un fronte occluso, l’unione di uno caldo e uno freddo. Il colore è rosso rubino quasi mattone. Il naso è una crema framboise con accenni pepati. In bocca dapprima è rotondo, avvolgente, con i tannini che si preparano ad unirsi ad una tempesta di sale. L’acidità accompagna con fermezza e decisione al gusto creando un effetto brinoso e persistente.
In Italia è distribuito da Meteri.








In ultimo dedico spazio ad altre riflessioni in merito ad un vitigno del Piemonte, il Dolcetto. Si dice “ogni territorio ha la sua cultivar” in questo caso bisogna menzionare Ovada, la terra di origine, habitat naturale del Dolcetto. 
Il mio libro preferito è “Orgoglio e pregiudizio” di Jane Austen, perché lo cito? Al di là della storia, struggente e passionale, nelle parole del titolo, che delineano i personaggi, ritrovo le consuetudini che giuste o sbagliate che siano, rispecchiano il comportamento umano e i conseguenti errori di degustazione che si compiono già con la mente. Questi ultimi si riscontrano già a partire dall’ analisi dell’etichetta, nota o ignota, del territorio, vocato o meno e del vitigno, alloctono o autoctono.


Per il Dolcetto forse, si è stati orgogliosi e si sono avuti pregiudizi. E’ arrivato il tempo di fermare la pellicola e scrivere una sceneggiatura più realista cercando in primis i personaggi storici di Ovada e i nuovi attori che oggi recitano e tramandando la tradizione.
Mi imbatto in Roberto Porciello al timone della Cascina Boccaccio a Tagliolo  Monferrato.
I suoi vini nascono su terre rosse e bianche e dalla vigna Brocca ricava due versioni di Dolcetto, il Celso ed il Celso Zero entrambi senza solfiti, sono affinati in cemento e vecchie botti. L’annata in degustazione è la 2013: il colore è rosso rubino tendente al violaceo, i profumi spaziano da vinosi a succosi di ciliegia surmatura. 
In bocca con l’assaggio del Celso Zero la mia mente si è sbloccata, il mio pregiudizio e le mie convinzioni si sono rivelate amare. Questo vino ha una spiccata acidità, un corpo gradevole che rilascia una sensazione silente come quando nevica. Nella vigna Brocca la neve scende e in bocca si ferma, ha presa, attacca.



L’ultimum assaggio spetta al Ovada Riserva Nonno Rucchèin 2012. Le uve nascono a 3000 metri e dopo un passaggio di 2 anni in botti di rovere e 6 mesi in bottiglia raggiunge il livello supremus della cantina. I profumi richiamano una vinosità ed una maturità amarognola date dalle note di confettura e di tabacco. Il gusto cavalca nel palato su tannini che seppur gentili, lasciano le proprie orme, di razza in una traiettoria acida.




La corsa non è finita, ci rivediamo al prossimo giro, naturalmente live.

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