Grandi Bottiglie da Grandi Bottiglie

Venerdì 29 Gennaio 2016 - Grandi Bottiglie


Arrivano dei momenti nella vita in cui puoi dire: "da oggi, tutto cambia”. 
Cambia quando partecipi ad una serata in cui l’esperienza, la minuzia nella ricerca del particolare e la passione, si incontrano. Si tratta dello staff di Grandi Bottiglie, dinamica  realtà torinese guidata dal giovane Emanuele Spagnuolo che, proprio nella prima capitale sabauda, organizza serate per eno-appassionati di prestigio che meritano attenzione e dedizione. 


Ad impreziosire la serata dell' ultimo venerdì del primo mese di questo nuovo anno, oltre ai vini della regione dei rossi più blasonata al mondo, la Borgogna, c’era Camillo Favaro, prima produttore vitivinicolo poi grande esperto di questa zona del quale conoscevo solo la copertina del suo libro, “Vini e Terre di Borgogna”. Con lui, siamo andati nel cuore della Côte d’Or, nel comune di Chambertin ove il clima è continentale, caldo in estate, secco in inverno. Ai venti tocca il compito di asciugare e proteggere gli acini dagli attacchi dei temibili afidi. Dopo cinque tappe ci si è poi diretti verso Échézeaux, nella culla del Domaine più ambito, Romanée Conti.
Non mi voglio dilungare sulle caratteristiche dei vari villaggi, del terroir e della classificazione dei vini di Borgogna, su questi temi molti, sono i trattati di esperti e non, che proliferano, come funghi.


I vini in degustazione:



Gevrey Chambertin 2012 Duband: al primo vino spetta sempre l’arduo compito di rompere il bicchiere e in questo caso mi sento di dire che la classificazione village non è adatta a questa etichetta del giovane enologo David che produce, con precisione, il suo Pinot Nero da vigne vecchie di 65 anni  site in terreni più ricchi in calcare che in marna. Il colore è di un rosso rubino tale che mi traspare la pulizia della mano. Naso ad un primo approccio chiuso con spezie, pepe, cenere e foglia di pomodoro. In un secondo momento si sentirà l’eco di un ribes non del tutto maturo. In bocca morde e tutto il palato è chiamato all’ordine. Il tannino corre e si impone ma l’acidità è in coda e sfrutta tutta la sua scia. Mi riservo di riassaggiarlo in futuro quando, forse, il gusto sarà più maturo e l’acidità si sarà stancata di correre.



Charmes Chambertin Grand Cru 2011 Thibault Liger Belair: senza dubbio uno dei vini che più mi è rimasto in bocca in questa serata. Questo piccolo produttore gestisce 7,5 ettari di vìgna che seguono i dettami della agricoltura biodinamica, in 5 diversi villaggi.
Il tema del BIO e della biodinamica è molto assaggiato in questo periodo dalla critica e dai consumatori. Non è questa la sede per esprimersi, mi limito a dire che i vini prodotti a partire da agricoltura  biodinamica, si riconoscono, sempre. 
Colore rosso rubino denso, appare quasi un velo a renderlo spesso. Naso fine ed elegante con un richiamo di confettura di fragola cotta e lavanda. In bocca quella sensazione visiva si trasforma in un gusto spesso e morbido. Un velo di tannini coprono dolcemente il palato. Come spesso accade, i vini biodinamici sono timidi e, in questo caso, dopo due ore di ambientazione nel calice,  la polpa e la struttura tannica e acida di questo vino si sono espresse in tutto il loro charmeTale nome, tale vino.



Gevrey Chambertin Vielles Vignes 2010 Dugat Py: quando si dice: “parlane bene o male, l’importante è assaggiarlo”. Questa bottiglia  racchiude un pinot noir portato all’estremo che divide i palati e che riesce, in fondo al calice, a guadagnarsi la notorietà e relativi seguaci.
Il colore è concentrato, un rosso rubino che si sprofonda. Il naso è ricco in fiori, note vegetali e terrose. L’eleganza al naso e in bocca non è di domaine. In entrata è invadente e il gusto appare come la sensazione della sabbia del bagnoasciuga sulla pelle. Un vino salino e terroso, morbido e graffiante che raggiunge la quinta di uscita veloce, quanto basta a farsi ricordare.



Gevrey Chambertin 1er Cru Clos St Jacques 2013 Bruno Clair: se Roger Federer è il manuale del tennis, Bruno Clair è quello  della Borgogna. Il cru St Jacques è noto per la sua sfacciata eleganza e sfarzo e monsieur Clair nelle sue produzioni riesce ad estrarre tutti i lati del pinot nero quali eleganza, finezza, freschezza e tannino sempre in bolla, perfetta. Il colore è quello tipico del pinot, rosso rubino, chiaro e luminoso. Il naso richiama profumi dolci di vaniglia, di lamponi e di rosa. In bocca il gusto è unito e si percepiscono in maniera netta le componenti acido-tanniche ricoperte dai petali di rosa. La giovane età del vino si percepisce dalla seconda vita del tannino che rinasce nuovamente ripercorrendo l’agitazione adolescenziale. L’uso della barrique è legge e non necessita di alcuna riforma. La scelta della permanenza e della tipologia del legno impiegato, nuovo e di N. diversi passaggi, dona una rotondità che fa sciogliere, come quando una madre guarda il sorriso di un figlio che sa di aver versato il vino, fuori dal calice.




Gevrey Chambertin 1er Cru Clos St Jacques 2012 Esmonin: rimaniamo a St Jacques con una seconda espressione di Pinot prodotto con la presenza dei raspi per i 2/3 e un uso sapiente, per l’80%, di legno nuovo da parte dell’enologa Sylvie Esmonin, al timone del domaine.
Il colore non si discosta dal tipico, di Borgogna. Il naso è vegetale e ferroso con incursioni floreali. In bocca è una lama salata ed acida che insieme al pepe nero asciugano la piastra. Un vino rettilineo, rigido, figlio di una donna diretta e puntuale.  



Échézeaux Grand Cru Les Loachausses 2011 Anne Gros: con questa donna-viticoltore chiamata dalla famiglia ad occuparsi del domaine cambiamo annata e zona per raggiungere una delle più richieste di Borgogna, Échézeaux  La vigna è coltivata con regimi biodinamici e il legno nuovo viene impiegato per  l’80% circa per la sola produzione dei Grand Cru.
Il colore è rosso rubino con riflessi granati che sfumano. Il naso è femminile e romantico segnato da tanti fiori, rosa e viola, con punte di lampone, molto maturo. In bocca il tannino felpato è un’onda crescente stoppata da una diga di sale. Un vino intenso ed elegante che crea la sensazione di vuoto che ti lascia l’ immersione nell’acqua di mari profondi quando non puoi toccare il fondale ma sei conscio della presenza.



Echezeaux Grand Cru 2008 Domaine Romanée Conti: ed eccoci qui, finalmente nel centro della terra della Borgogna, nel nucleo. Sarebbe inutile, banale e borioso elencare una serie di aggettivi per definire questo domaine, il più prezioso del mondo, senza voler esagerare. I 24 ettari di vigneti sono sottoposti ad attenzioni biodinamiche, da sempre. Considerati come cavalli di razza da che si hanno tracce delle loro orme... Il suolo qui è calcareo per i primi 50 centimetri il che consente alle vigne di asciugarsi il giusto, anche nelle annate umide. 
Il colore è rosso rubino di un trasparente tale che la mia emozione, traspare. Il naso è morbido e compatto, una griglia composta da fiori, spezie e frutti rossi uniti dalla pietra bagnata.
In bocca è un infinito numero di 8 in orizzontale che penetrano nel palato. Gli infiniti cerchi (+/-oo) uno sull’altro, racchiudono tutto il territorio della Borgogna e formano un tappeto acido-salato nel quale ogni filo è una parcella, a sviluppo orizzontale e verticale. I colori, di questi fili, rappresentano le anime dei Grand Cru, femminili e maschili, giovani ed adulti, perfettamente annodati senza fuoriuscite, mai invadenti o troppo suadenti.


Quando si pensa a Romanée Conti si pensa al mito, al prezzo e al fascino che il tempo e il marketing hanno creato. Io voglio andare oltre a tutto questo e voglio tralasciare tutta l’allure e la magia che si creano quando si nomina e si sfiora l’idea di degustare un Romanée Conti. Per me l’ Échézeaux Grand Cru Domaine Romanée Conti, definito come “il base”,  è il DNA del Pinot Nero della Borgogna, è.

Non si può bere un Romanée Conti se non si ha una minima conoscenza del Pinot prodotto in questa regione e dei personaggi che, con le loro recite, animano il teatro di questa terra. Si è pronti per comprendere un Romanée Conti quando si sono ascoltate le voci più rappresentative fuori e dentro la storia: i buoni, i brutti, i belli e i cattivi. Romanée Conti non è nessuno di questi, è TUTTO, li racchiude tutti.

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